“Non ce la faccio” è la cosa più sbagliata che tu possa pensare

Non sei tu ad essere sbagliato, ma il tuo allenamento o la tua strategia. Ecco allora cosa devi rispondere a quella parte di te che vorrebbe mollare

Foto da Pixabay

“Non ci riesco”, oppure “non ce la faccio”. Peggio ancora, “non ce la farò mai”. Quante volte, nel corso della nostra vita, abbiamo pronunciato o anche solo pensato queste parole? Probabilmente è capitato a ciascuno di noi, perché questa è una delle convinzioni limitanti più diffuse in assoluto.

Ci poniamo un obiettivo, ma non riusciamo a raggiungere il risultato, oppure quello che otteniamo non è comunque all’altezza delle nostre aspettative. E così, per colpa della ripetuta umiliazione o frustrazione che proviamo, alla fine ci convinciamo che il problema stia dentro di noi, che non disponiamo delle risorse sufficienti per portare a termine quello specifico compito, che in qualche modo ci portiamo dietro qualcosa di strutturalmente inadatto o addirittura sbagliato. Ecco, questa è la tipica profezia auto-avverante: ci aspettiamo di essere inevitabilmente condannati alla sconfitta, e in realtà ci condanniamo da soli.

Per spezzare questo circolo vizioso dobbiamo soffermarci un attimo a ragionare sul modo in cui abbiamo pensato e interpretato le nostre sconfitte. Il fatto che io “abbia sbagliato” non significa che io “sia sbagliato”, il fatto che io “abbia fallito” non significa che io “sia un fallito”. Non aver raggiunto un obiettivo non implica che siamo noi ad essere inadeguati: semmai, può significare che ad essere inadeguate sono le nostre competenze, la nostra strategia, oppure la nostra esperienza. Ma allora, in tal caso, la reazione più funzionale non è quella di colpevolizzarsi, bensì di studiare di più, valutare un diverso piano d’azione, oppure tornare ad allenarsi.

“Non ce la faccio ancora”

Le nostre capacità e i nostri talenti non sono dei doni innati, che possediamo per ragioni genetiche, ma come i nostri muscoli possono essere rafforzati attraverso un allenamento ripetuto, graduale e continuato. Dunque ogni fallimento, visto da questa prospettiva, può davvero rappresentare una lezione utile, perché a forza di provarci finirà per sembrarci facile persino quello che oggi ci sembra impossibile. Se ancora non ne siete convinti, prendete ad esempio le persone vincenti che ammirate o che invidiate, in qualsiasi campo: se hanno raggiunto quel successo, non è perché sono nate più fortunate di noi, ma perché hanno lavorato incessantemente su se stessi e sulla propria crescita, con persistenza, motivazione, dedizione e passione.

Quello che spesso non vediamo, dietro ad ogni vittoria, è il numero di insuccessi che l’hanno preceduta, la quantità di fallimenti che si sono dovuti superare, il numero di porte in faccia che si sono dovute sopportare. Ve ne racconto alcuni. Il grande scrittore James Joyce ha dovuto presentare il suo romanzo “Gente di Dublino” a ben ventidue editori, prima che fosse pubblicato. Il famoso Colonnello Sanders, tentando di vendere la sua leggendaria ricetta del pollo fritto, ha ricevuto la bellezza di 1009 rifiuti. James Dyson ha creato ben 5126 prototipi non funzionanti prima di riuscire a costruire il suo primo aspirapolvere. E Thomas Edison ha dovuto provare per diecimila volte prima di inventare finalmente la lampadina. Se anche loro si fossero sentiti falliti, se si fossero lasciati abbattere, se avessero rinunciato, non avrebbero mai raggiunto il loro risultato.

“Non mi interessa davvero farcela”

Qualsiasi capacità o competenza si può acquisire, sviluppare o imparare, con un adeguato programma di allenamento. L’unica cosa che non si può imparare è la volontà. Ed è concentrandoci su questo aspetto che scopriamo un’altra importante verità: molte volte non raggiungiamo i nostri obiettivi semplicemente perché non sono sufficientemente importanti per noi. Allenarsi richiede un impegno e uno sforzo straordinari e non tutti e non sempre abbiamo abbastanza motivazione da intraprendere questo percorso tutto in salita. Ma, anche in questo caso, ciò non significa che non valiamo abbastanza, bensì che non abbiamo identificato un obiettivo che realmente ci stimola, in linea con i nostri desideri, la nostra attitudine, la nostra vocazione. Che dobbiamo cercare altrove. Che forse ci siamo lasciati abbagliare da un’illusione, inculcataci da qualcun’altro, invece di perseguire il nostro autentico e profondo sogno.

Ecco dunque che il vero motivo del fallimento non siamo noi, bensì la strada che abbiamo seguito, il nostro stato di forma, oppure addirittura la meta che ci eravamo prefissati. Ecco che possiamo smettere di pensare “non ce la faccio”, e iniziare a dire a noi stessi “non ce la faccio ancora”, oppure “non mi interessa davvero farcela”.

Puoi pensare di farcela o di non farcela: in entrambi i casi avrai ragione

Henry Ford

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