Il panico dell’epidemia di coronavirus produce emozioni negative e quindi azioni negative: un effetto dimostrato scientificamente
Si chiama coronavirus l’ultima psicosi mondiale che si sta diffondendo in queste settimane. Un’epidemia che ha di fatto bloccato i voli da e per la Cina, che ha indotto alla cancellazione di grandi eventi internazionali, che l’Organizzazione mondiale della sanità ha definito “il nemico numero uno”, “una minaccia peggiore del terrorismo”. Insomma, che sta facendo letteralmente tremare il mondo.
Ma ha davvero senso una reazione emotiva così forte nei confronti di questo virus? Se ci basiamo solamente sulle fredde statistiche, verrebbe proprio da rispondere di no. Al momento in cui scriviamo, dopo diverse settimane dal primo lancio dell’allarme, si contano in totale un paio di migliaia di morti. Una cifra altissima in valori assoluti: ma, se rapportata ai quasi 1,4 miliardi di persone che vivono in Cina, ammonta appena ad un milionesimo della popolazione. Guardando poi oltre i confini della nazione asiatica, scopriamo che al di fuori della provincia dello Hubei i decessi sono ad oggi appena quaranta, e nella maggior parte dei casi si tratta di persone di età avanzata e dal fisico già indebolito da altre malattie.
La stampa diffonde il panico coronavirus
Giustificatissimo, dunque, il cordoglio e il dolore nei confronti delle vittime e delle loro famiglie, così come l’avvio della ricerca medica per una cura e l’adozione di tutte le misure di prudenza e di prevenzione dettate dal buon senso. Ma da qui a trasformare un’infezione del genere in un panico internazionale, ce ne passa. Tanto per fare un confronto, ad esempio, ogni anno muoiono più persone per la normale influenza stagionale: i decessi per problemi respiratori legati a questa malattia, secondo una stima della stessa Oms, sono fino a 650 mila. Ma questa notizia non viene mai riportata in prima pagina da nessun giornale.
Se dunque questa campagna di stampa allarmistica che sta lasciando tutto il globo con il fiato sospeso ci sembra del tutto ingiustificata, non si può certo dire che sia priva di conseguenze. Pensiamo alla perdita di decine di miliardi di dollari nelle Borse, al crollo degli affari dei ristoranti etnici, agli innumerevoli episodi di intolleranza nei confronti dei cinesi identificati come nuovi untori. Ma anche, più in piccolo, agli striscianti timori che si insinuano, nostro malgrado, nella mente di ciascuno di noi, e che non contribuiscono certamente al nostro benessere.
Le ricerche sul contagio emotivo
Si tratta di una forma meno nota, ma non per questo meno pericolosa, di contagio: il cosiddetto “contagio emotivo”. E non si tratta, badate bene, di un semplice modo di dire, bensì di un fenomeno dimostrato da una ricerca scientifica pubblicata nel 2008 da James Fowler e Nicholas Christakis. Questi due ricercatori dell’università di Harvard condussero per un ventennio (a partire dal 1983) uno studio su oltre cinquemila persone, orientato alla ricerca del loro benessere. Inizialmente l’obiettivo era quello di misurare la loro salute cardiaca (tanto che lo studio era stato battezzato Framingham Heart Study), ma in effetti la scoperta più significativa fu quella che fattori come l’obesità, il reddito e persino la felicità degli esseri umani sono condizionati in modo decisivo dalla rete di relazioni che stanno loro intorno.
In altre parole, più le persone che frequentiamo sono felici, più è probabile che lo saremo anche noi; più sono intimorite o spaventate, più ci contageranno con le loro emozioni negative. Non è solamente un dato intuitivo, ribadisco, ma l’esito di una ricerca scientifica. Così come è altrettanto scientifico l’effetto della spirale ascendente o discendente descritto dalla psicologa Barbara Fredrickson: quando si provano emozioni positive si tende a compiere azioni positive che produrranno altre emozioni positive, e viceversa. Una specie di teorizzazione del cosiddetto circolo vizioso o virtuoso.
Paura genera paura
Se caliamo questi studi nella realtà contingente del coronavirus, dunque, possiamo affermare che il panico e la paura diffusi dalla stampa si contagiano da persona a persona, e producono a loro volta azioni concrete dettate dalla paura, che di conseguenza genereranno ulteriore paura. Una dinamica che non ci può far certamente vivere bene. Il tutto per proteggerci da una presunta minaccia che in realtà ha una probabilità infinitesima di riguardarci. Ne vale davvero la pena?
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