Così l’aragosta ci insegna ad affrontare il coronavirus

Come fa l’aragosta quando muta il suo carapace, anche noi esseri umani ora stiamo nascosti e vulnerabili. Ma questa è la più grande opportunità di crescita

Aragosta
Aragosta (Foto di Erwin Cox da Pixabay)

In questi giorni in cui ci è stato concesso più tempo, a disposizione anche per leggere e per studiare, mentre giravo su Internet per le mie ricerche, mi è capitato di imbattermi casualmente in un racconto. Si tratta di una storiella (peraltro vera) usata come metafora dal rabbino e psichiatra Abraham J. Twersky, che ho trovato molto adatto alla situazione attuale che stiamo vivendo. Racconta l’esistenza dell’aragosta.

Dentro al rigido carapace rosso che siamo abituati a vedere, infatti, l’aragosta è in realtà un mollusco morbido e soffice. E, man mano che cresce, si ritrova spesso costretta all’interno di una corazza che ormai si è fatto troppo stretta e scomoda per ospitarla.

La muta dell’aragosta

Quando sente pressione e dolore, insomma, l’aragosta si rende conto che è giunto il tempo di abbandonare la sua vecchia casa, che pure fino ad allora l’aveva protetta e le aveva permesso di svilupparsi. Quello è, ovviamente, il momento in cui diventa più vulnerabile in assoluto al mondo esterno, ai predatori e ad altre minacce.

Quindi cosa fa l’aragosta a quel punto? Si nasconde in mezzo alle rocce, si libera del suo guscio e inizia lentamente a costruirsene un altro, stavolta grande a sufficienza da adattarsi alle sue nuove esigenze di crescita. Questo processo si chiama muta, e si ripete moltissime volte nel corso dell’intera vita dell’aragosta, specialmente durante il suo primo anno.

È il momento di cambiare guscio

Ecco, volendo proseguire nella nostra metafora, potremmo azzardare a definire il momento che stiamo vivendo oggi, sia a livello individuale che collettivo, come una fase di muta. Oggi noi esseri umani, come le aragoste, ci sentiamo più vulnerabili che mai, anche se il nostro predatore in questo caso è un microscopico virus invisibile ad occhio nudo.

Proprio per questo motivo siamo costretti a chiuderci in casa, come se ci stessimo nascondendo in mezzo alle rocce per scampare i pericoli. E viviamo un periodo di stress, di disagio, di scomodità e di malessere, esattamente come quello che l’aragosta si trova ad affrontare quando il suo carapace non è più adatto a lei.

Se il dolore è uno stimolo

Ma tutto questo dolore è semplicemente lo strumento che la natura ha predisposto per dare a questo mollusco, come a noi uomini, lo stimolo a svilupparci. Per questo motivo l’approccio più produttivo non è quello di rifuggirlo per mezzo di distrazioni o addirittura sedarlo attraverso i farmaci, bensì di accettarlo, accoglierlo e apprendere da esso la profonda lezione che ha da insegnarci.

Ovvero, che abbiamo di fronte a noi un’incredibile chance di crescita, se solo siamo capaci di infrangere le corazze che ci hanno bloccato e recluso fino ad oggi, come singoli individui, e di creare una casa più grande, accogliente, spaziosa e ariosa per tutti, come comunità e società. Riconoscendo gli errori che abbiamo commesso nel nostro comportamento personale e collettivo, che ci hanno portato fino a questo punto, e che dobbiamo evitare di ripetere in futuro.

Se saremo in grado di farlo, una volta concluso questo periodo in cui siamo imboscati in mezzo ai sassi, scopriremo che non solo potremo tornare alla stessa vita di prima, ma addirittura ad una migliore. Questa è la lezione che può insegnare al genere umano perfino una creaturina apparentemente modesta come un’aragosta: i momenti difficili non sono gradevoli per nessuno di noi, ma rappresentano spesso l’unica opportunità per rompere il nostro guscio e ricominciare a crescere.

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